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IL PARERE DEL LEGALE

DISSENSO DEI CONDOMINI RISPETTO ALLE LITI


Dissenso litiNell’ambito di un condominio, tanto che si parli di liti attive, tanto che si faccia riferimento a liti passive, può accadere che non tutti i comproprietari si trovino d’accordo sulla necessità d’iniziare una causa o di resistervi.

Si occupa della vicenda l’art. 1132 c.c., rubricato per l’appunto Dissenso dei condomini rispetto alle liti.

L’articolo in questione si compone di tre commi che recitano:

Qualora l’assemblea dei condomini abbia deliberato di promuovere una lite o di resistere a una domanda, il condomino dissenziente, con atto notificato all’amministratore, può separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza. L’atto deve essere notificato entro trenta giorni da quello in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione.

Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa.

Se l’esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese del giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente.

Una premessa è obbligatoria: il campo di applicazione dell’articolo in esame è limitato alle liti che rientrano nell’ambito delle competenze dell’assemblea.

In sostanza il condomino non può dissociarsi da quelle azioni che mirano al recuperare il credito dal condomino moroso.

Cerchiamo, allora, con l’ausilio di un esempio pratico, di capire meglio come si applica la norma e, di conseguenza, cosa debba fare chi non vuole partecipare ad una controversia.

Poniamo il caso che sorgano contestazioni circa l’effettuazione di alcuni lavori di ristrutturazione.

Non riuscendo a risolvere la questione bonariamente è necessario prendere una decisione sul da farsi.

Dissenso litiL’amministratore convoca l’assemblea che, con le maggioranze previste dalla legge (art. 1136, quarto comma, c.c. ossia maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi), decide di agire in giudizio.

Non tutti i condomini sono d’accordo con tale scelta e decidono di non aderire all’iniziativa giudiziaria contro l’impresa appalatrice.

Il loro dissenso, quindi, potrà essere espresso tramite una comunicazione da notificare all’amministratore entro 30 giorni dalla decisione di resistere in giudizio.

Per gli assenti questo termine decorre dalla comunicazione dello svolgimento dell’assemblea.

Dei dubbi sono stati sollevati in relazione al significato da dare al termine notificare.

Alcune sentenze ritengono che con tale parola si sia inteso indicare la notifica fatta a mezzo di ufficiale giudiziario.

Altre tesi propendono per un’interpretazione più ampia del vocabolo, affermando che s’intenda più semplicemente portare a conoscenza in modo certo, tanto da ritenere sufficiente la comunicazione fatta in assemblea.

Una volta fatto ciò il dissenziente rispetto alle liti, laddove sia costretto a pagare una somma alla controparte, avrà diritto di rivalsa nei confronti del condominio (art. 1132, secondo comma, c.c.).

Inoltre, egli beneficerà degli effetti positivi nel caso di vittoria di una controversia (si pensi alla sentenza che impone all’impresa di completare un’opera ecc.) e sarà tenuto a contribuire alle spese legali solo se non sia stato possibile recuperarle dalla controparte (ad esempio perché al termine del giudizio si è avuta una compensazione delle spese o perché la controparte non è solvibile, art. 1132, terzo comma, c.c.).

L'amministratore di un singolo condomino

(30/06/2009)

L'amministratore di un singolo condominio non nè legittimato ad agire in giudizio a tutela delle parti comuni di un supercondominio

Tribunale di Torino, Sentenza del 2 aprile 2008 n. 2454


L'amministratore di un singolo condominio non è legittimato ad agire in giudizio ai sensi dell'art.1131, 1°comma, c.c. a tutela delle parti comuni di vari edifici che, nel loro insieme, costituiscono il c.d. supercondominio. Infatti, nelle ipotesi in cui un bene comune sia al servizio di più edifici condominiali, la gestione di detto bene deve essere attribuita dai comunisti ad un apposito amministratore e non può essere rimessa agli amministratori dei singoli condomini  i quali possono esercitare i poteri previsti dalla legge soltanhto con riferimento all'edificio cui sono preposti.

Liti condominiali troppo lunghe, chi può chiedere il risarcimento del danno?

Importante sentenza della Corte di Cassazione relativamente alle liti condominiali ed alla loro eccessiva durata.

Liti condominialiVediamo perché.

In Italia, in virtù dell’adesione alla Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (recepita con l. n. 855/1948), ogni persona ha diritto ad una durata ragionevole del processo (civile o penale) che la vede coinvolta.

Ciò significa che il procedimento non può essere eccessivamente lungo.

Il mancato rispetto di questa norma ha come conseguenza per il soggetto interessato il diritto ad ottenere un ristoro del danno subito.

Sul punto è significativo l’art. 2 della l. n. 89/01 (c.d. legge Pinto che disciplina per l’appunto l’equo indennizzo nel caso di irragionevole durata del processo) secondo cui: chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione.Liti condominiali

Gli altri articoli della legge Pinto specificano:

-qual è la forma della domanda da presentare;

-chi è il giudice competente a decidere;

-quali siano i tempi da rispettare per non incorrere in decadenze

Nel corso del tempo ci si è posti il problema d’individuare il soggetto legittimato ad agire per ottenere l’indennizzo.

In effetti, l’eccessiva laconicità della legge (che si limita a dire chi ha subito un danno…) non aiuta.

Se il danno è stato subito da una persona fisica (un privato cittadino per intendersi) il problema non si pone.

Allo stesso modo, la Cassazione ha esteso tale diritto alle così dette persone giuridiche (società di capitali, tipo s.p.a. o s.r.l., ma anche società di persone, come s.n.c. o s.a.s.).

Il problema non era stato ancora affrontato per il condominio.

Con la sentenza n. 22558 del 23 ottobre 2009, i Giudici di legittimità chiariscono (per quei casi in cui il condominio è parte in causa ed ha diritto al risarcimento) chi è il soggetto legittimato a chiedere il risarcimento del danno.

Secondo la Corte di Cassazione l’amministratore, salvo il caso di autorizzazione scritta da parte di tutti i condomini, non potrà  agire per ottenere questo tipo di risarcimento.

Egli, infatti, è un mandatario dei condomini solo in relazione alla gestione e conservazione delle parti comuni dello stabile e non anche per altre questioni.

Non vi è dubbio, infatti, dice il Supremo Collegio, che il diritto all’equo indennizzo per la irragionevole durata di un processo non spetti all’ente condominiale che è proposto unicamente alla gestione della cosa comune in quanto l’eventuale patema d’animo conseguente alla pendenza del processo incide unicamente sui condomini che quindi sono titolari uti singuli del diritto di risarcimento (così Cass. 23 ottobre 2009, n. 22558).

In sostanza il diritto al risarcimento del danno è un diritto inerente la persona dei condomini e non le parti comuni dell’edificio dalle stesse abitato.

Ciò vuol dire che qualora l’amministratore agisse per questo indennizzo, autonomamente o sulla base di una semplice delibera adottata a maggioranza, si vedrebbe eccepire la carenza di legittimazione a stare in giudizio, ossia il giudice non potrebbe far altro che constatare che quel soggetto non aveva diritto d’iniziare la causa.

Delibere annullabili e delibere nulle


Delibere di CondominioLa distinzione tra delibere nulle o annullabili assume una notevole rilevanza pratica poiché l’impugnazione delle delibere annullabili deve essere proposta necessariamente, a pena di decadenza, entro il termine di 30 giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i condomini presenti in assemblea, ovvero dalla data di comunicazione della delibera medesima per gli assenti.
Trattasi di un termine inderogabile ed il suo decorso non può essere interrotto, poiché trattasi di termine di decadenza e non di prescrizione. Le delibere nulle possono invece essere impugnate in qualsiasi tempo, anche peraltro dal condominio che, con il suo voto, ha contribuito ad approvarle.

I vizi che determinano l’annullabilità devono perciò essere fatti valere tempestivamente dal condominio che vi abbia interesse, non oltre i trenta giorni previsti dalla legge. Decorso tale termine la delibera, pur irregolarmente assunta (e quindi potenzialmente annullabile), diventa anche di fatto esecutiva per tutti i condomini. In pendenza del termine per eventuali impugnazioni, l’amministratore diligente e responsabile attenderà il suo decorso prima di procedere all’attuazione specialmente di quelle deliberazioni assunte con una maggioranza minima oppure in presenza di pochi condomini.

L’impugnazione si propone con atto giudiziario da notificarsi al condominio in persona del suo amministratore pro-tempore. Il condominio, infatti, non essendo una persona giuridica e costituendo, invece, un ente di gestione, non ha una sede in senso tecnico per cui, ove non abbia designato nell’abito dell’edificio un luogo espressamente destinato e di fatto utilizzato per l’organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con quello privato dell’amministratore che lo rappresenta (Cassazione, sentenza n. 16141).

Nonostante l’espressione ‘ricorso’ usata dal legislatore per proporre l’impugnazione, esigenze di sollecita soluzione delle questioni che possono intralciare o paralizzare la gestione condominiale, impongono l’uso dell’atto di citazione. Il giudizio che si instaura a seguito della proposizione dell’impugnativa è una vera e propria controversia giudiziaria, per mezzo della quale si va a stabilire la conformità della delibera alla legge o al regolamento di condominio.
Per quanto innanzi detto, e per chiedere la riforma di un’assemblea, non è sufficiente l’invio con raccomandata, nel rispetto dei termini, di una mera comunicazione all’amministratore di censura della stessa. Occorre invece instaurare un giudizio che troverà la sua naturale conclusione con la pronuncia di una sentenza da parte del giudice incaricato di deliberare.

Il termine per impugnare le delibere rimane di diritto sospeso dal 1° agosto al 15 settembre di ogni anno, in concomitanza della sospensione dei termini processuali del periodo feriale. Gli effetti del giudizio di impugnazione. La proposizione dell’impugnazione non sospende l’efficacia della delibera impugnata, tuttavia può essere chiesta la sua sospensione e sarà il giudice a stabilire di concederla, nel caso in cui si ravvisi che nella pendenza del giudizio, la delibera che si censura possa arrecare al condomino un danno irreparabile.
Non è tale il danno patrimonialmente risarcibile, come ad esempio quello derivante al condomino dall’errata applicazione di un criterio di riparto delle spese oppure dal mancato accredito di un versamento invece eseguito. Il giudice, in ogni caso, non è chiamato a sostituire la sua decisione a quella nulla o illegittima dell’assemblea, dovendo egli limitarsi a dichiarare l’illegittimità o la nullità della delibera assunta dall’assemblea stessa (Cassazione 20 aprile 2001 n. 5889).

Il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere dell’assemblea non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità. Gli è pertanto impedita ogni valutazione di merito circa l’opportunità, la convenienza, la saggezza o la ponderatezza della decisione assunta dai condomini in assemblea, salvo che questa non si traduca in violazione di specifiche norme legislative o regolamentari.
L’annullabilità in sede giudiziale di una delibera per ragioni di merito attinenti l’opportunità o la convenienza della gestione del condominio è configurabile solo nel caso di decisione viziata da eccesso di potere, cioè per un grave pregiudizio per la cosa comune.